Terapia del Freddo: Crioterapia, contrasto acqua calda-fredda, immersione in acqua ghiacciata per il recupero post-competizione - Parte II

Terapia del Freddo: Crioterapia, contrasto acqua calda-fredda, immersione in acqua ghiacciata per il recupero post-competizione - Parte II


Revisione stilistica e grammatical: 01-07-2021

Questo articolo è tratto dal libro sul riscaldamento e le strategie di pre-post competizione previsto per la fine dell'estate



CONFRONTI TRA LE TERAPIE DEL FREDDO E LE ALTRE METODOLOGIE DI RECUPERO POST-COMPETIZIONE

Crioterapia. La crioterapia ha risultati statisticamente non differenti rispetto all’immersione in acqua fredda nel recupero della forza massima volontaria (43), mentre in un’altra indagine l’IAF è apparsa migliore nel recupero neuromuscolare a 72h rispetto alla crioterapia (44).


Immersione in acqua fredda. L’IAF ha una tendenza ad essere migliore (seppur non statisticamente) nel ridurre la CK rispetto alla terapia a contrasto (0-96h) (40). L’immersione in acqua fredda ha come effetto un recupero più veloce rispetto allo stesso protocollo in acqua temperata (33), però non tutti gli studi che l’hanno confrontata con l’acqua calda lo confermano (45). Inoltre, risulta ugualmente performante rispetto ad un gruppo con recupero attivo in acuto (46) o dopo 10 settimane di allenamenti (47). Tra la crioterapia (4 minuti a -110 C°) e l’immersione in acqua fredda (4 minuti a 8 C°) c’è una riduzione maggiore nella temperatura superficiale del ginocchio appena dopo la CR, ma successivamente tra +10-60 minuti il processo è inverso, infatti dopo l’IAF si impiega più tempo per tornare ai valori basali di calore corporeo (8)(48).

Differenza nel recupero della temperatura superficiale (ginocchio) dopo un protocollo di crioterapia totale o di immersione in acqua fredda (4 minuti a -110 C° vs 4 minuti a 8 C°). Tratto da (48).

Terapia a contrasto. La terapia a contrasto è migliore delle attività passive di recupero ed è più efficace per ridurre i dolori muscolare fino a 96 ore dell’immersione in acqua fredda (40). In uno studio condotto su ciclisti professionisti sono state confrontate quattro diverse tipologie di recupero (immersione in acqua fredda, in acqua calda, terapia a contrasto e recupero passivo) per 5 giorni consecutivi dopo altrettanti allenamenti composti da 66 sprint massimali. I risultati mostrano che le terapie del freddo sono interscambiabili tra di loro, ma sono migliori nel recupero delle variabili prestative rispetto a nessuna attività o all’acqua neutra (49).

Differenza nella prestazione su cinque giorni consecutivi quando si applicano tipologie di recupero differenti. * = indicano una significatività statistica tra i protocolli con acqua fredda e il recupero passivo e/o l’acqua calda.

Data la grande variabilità nei risultati degli studi sicuramente dovuta al campione utilizzato (atleta vs semiprofessionista), alla tipologia dello stesso (endurance, forza, sport intermittente di contatto o “aerobico”) e al protocollo (differenti intensità di freddo e durata di applicazione) si ritiene che tutte le metodiche che utilizzano le basse temperature siano equivalenti e che la discriminante principale sia la possibilità dell’implementazione nella quotidianità grazie al possesso dei materiali necessari.

LIMITAZIONI

Le limitazioni a questa pratica sono innumerevoli e sono affrontate di seguito.

Placebo vs terapia del freddo. Non sempre si sono riscontrati valori migliori nelle variabili monitorate (oggettive e soggettive) tra una terapia che utilizza il freddo (crioterapia e immersione in acqua fredda) rispetto ad un gruppo placebo (50). Infatti, dopo una maratona, non ci sono state differenze statistiche significative tra un gruppo che ha svolto un recupero passivo con un’integrazione a base di una sostanza dal sapore fruttato, ma senza antiossidanti, rispetto a coloro che hanno utilizzato l’esposizione alle basse temperature (16).

Terapia del freddo e adattamenti di forza-ipertrofia. Il freddo potrebbe essere nocivo per l’aumento prestativo in quanto ci sono prove che possa interferire con gli adattamenti muscolari di forza, potenza e ipertrofia risultando in minori guadagni a lungo termine (38). Inoltre, si sa che dopo una seduta di 6x10x80% 1 RM nello squat guidato e parallelo (1 RM relativo = 1,65) c’è stata una riduzione del testosterone a 30 e 60 minuti post-intervento (+30’; IAF = -0,5%; CTRL = +9,2%; +60’: IAF = -10,4%; CTRL = -1,6%) nel gruppo che ha utilizzato le basse temperature (15’, 15 C°) rispetto al controllo. Speculativamente questo può essere uno dei motivi per cui negli esercizi con sovraccarico si ha un ridotto adattamento (51). Un punto a sfavore di questa teoria è che i protocolli di esposizione al freddo che hanno inficiato i guadagni sono molto più lunghi di quelli utilizzati nel recupero post-partita (2x20 min, 5 C°) (52)(53), di conseguenza urgono studi a maggior validità ecologica. Al contrario, un’ottima e recente review mostra che in atleti di contatto d’élite con protocolli dall’alta validità ambientale non ci sia questo calo nell’ormone anabolico per almeno 30 sessioni continuative di crioterapia (19), per cui potrebbero non esserci riduzioni dell’adattamento muscolare. Ad oggi questo tema è tutt’ora in discussione (54).

Terapia del freddo e sintesi di glicogeno muscolare. Un’altra limitazione è che il glicogeno sembra essere dipendente dal calore per poter essere ripristinato in maniera efficace, per cui la crioterapia, specialmente se applica su atleti di lunghe distanze in competizioni continue (grandi giri ciclistici), potrebbe ridurre la sua re-sintesi. In aggiunta, la re-sintesi del glicogeno è amplificata nelle ore successive la fine dell’esercizio, e, quindi, si andrebbe proprio a ridurre questa preziosa finestra (55). Un ottimo studio che ha riprodotto una grande tappa ciclistica come carico di lavoro (7 giorni di adattamento, 21 di intensificazione, 7 di scarico) non mostra che il gruppo sperimentale con l’immersione in acqua fredda abbia ridotto la prestazione in tests a tempo (4-10 min TT) rispetto ad un gruppo di controllo di pari livello (senza intervento) (56). Il glicogeno non è stato misurato, però sembra che questa variabile non abbia inciso sul risultato. Di conseguenza, sono necessarie maggiori ricerche sul tema.

Terapia del freddo e mitocondri. Ci sono anche prove che la crioterapia possa aumentare la biogenesi mitocondriale aumentando speculativamente la prestazione dopo gli allenamenti (57)(58).

Terapia del freddo e umore. Non tutti gli atleti riescono a sopportare le basse temperature, infatti può avere effetti negativi sull’umore (59).

Esposizione cronica e riduzione dei benefici. Dato che si è notato un lieve effetto di abitudine alla pratica con un decremento meno ridotto del sistema simpatico dopo la quinta esposizione si specula che questa pratica sia da effettuare per brevi periodi (massimo 7 giorni consecutivi) e non in cronico su una stagione. Un esempio è il suo solo utilizzo durante i taper o nelle settimane congestionate per massimizzare il recupero globale (60).

Terapia del freddo, genere & composizione corporea. Come si conosce che in una squadra lo stesso carico esterno (es. lavoro intermittente) non ha risposte identiche di carico interno (frequenza cardiaca), così anche si può immaginare che la stessa temperatura e durata di esposizione non abbiano le stesse conseguenze sui generi (maschi e femmine), ma anche su differenti tipologie corporee ed antropometriche (% di massa grassa e superficie) all’interno dello stesso sesso. In particolare, si sa che le donne hanno un maggior rischio di infortuni da freddo, una maggior superficie di scambio (raffreddamento) ed una minor capacità di produrre calore dai brividi (61). Da un’indagine di Polidori et al., si conosce che dopo un’esposizione acuta alla crioterapia totale la temperatura media della pelle nelle donne è 19,61 C°, mentre negli uomini è 22,19 C° (62). Stephens e colleghi, invece, mostrano come gli individui con maggior grasso corporeo hanno una riduzione minore della Tc (bassa % di massa grassa: 36,5 ± 0,5 C°, alta % di massa grassa: 37,2 ± 0,6 C°) e una minor sensazione di stress termico. In aggiunta, chi ha una maggior superficie di scambio termico con l’esterno in relazione alla massa ha anch’esso un maggior decremento nella temperatura corporea. A favore dell’individualizzazione dell’esposizione alla terapia del freddo si conosce che, applicando una terapia differenziata per persona tramite un software a licenza che indichi la quantità di freddo da somministrare per l’ottima riuscita dello stress termico, si ottiene un recupero migliore rispetto ad un protocollo generale (63). Tenendo presente questo fattore (genere e % massa grassa) si può capire perché non tutte le ricerche hanno mostrato benefici o hanno avuto risultati ambigui, per cui nelle prossime indagini urge una riconsiderazione di questo parametro per una miglior comprensione del fenomeno (62).

Rappresentazione dell’aumento della temperatura dopo un’esposizione alla terapia del freddo in uomini e donne. Tratta da (61)

Rappresentazione dell’aumento della temperatura dopo un’esposizione alla terapia del freddo in un gruppo ad alta e bassa percentuale di massa grassa. Tratta da (62).

APPLICAZIONE PRATICA

A fronte delle limitazioni elencate si prova a riassumere in una linea guida di azione per poter applicare la terapia del freddo in maniera efficace. Sicuramente, tutti i protocolli che utilizzano le basse temperature sembrano idealmente uguali tra di loro per il recupero, mentre sono superiori all’utilizzo dell’acqua temperata o alla modalità passiva. L’unica discriminante è la capacità di implementazione nella quotidianità dovuta alla necessità di materiali e spazi.

Tempo di applicazione. Si sa che la crioterapia (ma si può speculare su ogni terapia del freddo) se si utilizzasse immediatamente dopo una partita ad alti impatti (rugby, football australiano ecc.) ha maggiori benefici sul recupero psicologico e fisiologico rispetto che se si applicasse dopo 2 ore (64). Dato che la temperatura corporea diminuisce fino a 60 minuti post-trattamento e con sé la prestazione neuromuscolare ad alta intensità ed esplosiva è necessario che la seguente competizione sia minimo dopo 120 minuti (12). Per cui, è altamente sconsigliato l’utilizzo di questa metodologia nell’intervallo di una partita (65). Inoltre, aumenta la stiffness accorciando il muscolo esponendo ad un rischio aumentato di infortuni da non contatto (65). Si consiglia, nel caso si utilizzasse tra prestazioni ravvicinate, di aumentare il riscaldamento pre-competizione (66) e si potrebbero applicare anche metodi di trasferimento passivo del calore (ad oggi questa supposizione non è ancora stata studiata).

Riduzione della temperatura corporea. Da questa indagine si mostra come un calo nella Tc oltre il 2,5% porti a decrementi prestativi e/o nessun decremento sulla prestazione seguente in un Time-Trial in ciclisti professionisti (67). Per cui, speculativamente, una riduzione oltre il 2,5% della temperatura corporea è il massimo effetto da avere sui soggetti per i protocolli di recupero.

Contesto. Data l’incognita dell’effetto cronico della terapia del freddo sugli adattamenti muscolari (forza e potenza) si può ritenere che questa pratica debba essere utilizzata quando il recupero deve prevalere sugli adattamenti. Questa situazione è durante la fase di in-season e nei calendari congestionati, in cui gli allenamenti settimanali servono per mantenere la forma fisica perché l’atleta deve competere in maniera ottimale. Invece, al contrario, durante la fase di pre-campionato dove gli adattamenti muscolari devono essere prioritari si può pensare di limitarne il suo utilizzo o proprio evitarla (38). Inoltre, ci può anche essere la teoria che un recupero migliore tra i condizionamenti permetta un miglior guadagno prestativo a lungo termine (68), per cui si lascia anche quest’altra ipotesi di utilizzo al lettore. In aggiunta, bisogna anche considerare l’anzianità e i sovraccarichi che si porta dietro il giocatore.

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