Rapporto acute:chronic workload ratio (ACWR)

RAPPORTO DI LAVORO ACUTO:CRONICO

Utilizzo dell’acute-to-chronic workload ratio (ACWR) per la prevenzione infortuni

Inizio con un aneddoto. Quando ero presso la Bangor University un Ph.D. student dell’Università di Bath ha tenuto una lezione sul binomio fitness-fatica e su come implementare l’acute:chronic workload ratio per identificare in anticipo gli atleti che sono a maggior rischio di sostenere un infortunio. Infatti, il suo progetto verteva sull’applicazione di questo calcolo nella squadra professionistica della sua città. Accadeva in primavera del 2019 e sia nei mesi precedenti sia in quelli seguenti questo nuovo metodo di interpretazione dei dati ha avuto un enorme successo. Infatti, una delle prime ricerche, apparsa su una rivista ad alto impatto, è stata citata più di 900 volte (1) ed è finita velocemente per essere utilizzata in ogni squadra e staff sportivo, così come nelle linee guide per prevenire gli infortuni da non contatto. In questo modo, merito la sua grande semplicità e facilità di applicazione, è diventata una “profezia che si autoalimentava e ha ridotto la volontà degli scienziati di criticare il costrutto inziale” (2). Tant’è che in seguito è stata applicata anche sugli animali da corsa (3).

Rapporto di lavoro acuto:cronico (ACWR)

Il rapporto di lavoro acuto:cronico (ACWR) è stato creato per identificare in anticipo (predire) i giocatori che hanno una maggior probabilità di sostenere un infortunio da non contatto. Questo calcolo si ottiene dividendo il carico di lavoro (interno od esterno) dell’ultima settimana (ma anche di altri periodi, esempio 3-5 giorni escludendo la partita) per il carico cronico solitamente delle ultime 3-4 settimane. In generale, le ricerche sono concordi nel sostenere che se questo rapporto risulti >2 o <0,5 l’atleta è a maggior rischio di infortuni in quanto, nel primo caso, si è attuato un sovraccarico eccessivo che il giocatore non è stato in grado di tollerare, mentre nel secondo caso si è sotto-allenati e, quindi, meno resilienti agli stress. Invece, se l’atleta rientra nella zona interna 0,5 < x > 1,5 si è “sicuri” di essere nella situazione di ottima programmazione e, quindi, speculativamente distanti da lesioni da non contatto improvvise.

Rappresentazione della relazione tra il rapporto acute:chronic workload ratio e il rischio di sostenere un infortunio da non contatto. Tratta da (1).

Non si approfondisce ulteriormente né la formula né la teoria in quanto negli ultimi sei mesi ha ricevuto una critica illustre. Infatti, Impellizzeri e colleghi hanno indagato il costrutto teorico e i dati da cui tutto è iniziato e ne risulta che non rispetti i canoni scientifici. infatti, hanno unito il rischio di infortuni ottenuto da differenti tipologie di carichi interni ed esterni non interscambiabili (es: sRPE, distanza a varie intensità, numero di lanci, ecc.) di differenti sport e soggetti con ognuno dei fattori di rischio intrinseci non controllati e con potenziali omissioni di dati (4). Infatti, molte ricerche hanno trovato una bassa, se non del tutto assente, capacità predittiva di questa formula per il fine per cui è stata sviluppata (5). Anzi, non si è nemmeno sicuri se sia stata sviluppata dopo aver letto i dati (a posteriori), o se sia stata ipotizzata a priori (prima della statistica dei dati) (4). Si ritiene, quindi, che questo approccio metodologico debba essere abbandonato (4).

Considerazioni finali

L’autore che scrive ritiene che si renda necessario un approccio globale per identificare in anticipo le cause di sotto-prestazione sportiva che non sono solo gli infortuni da non contatto, ma comprendono anche periodi di malattia, depressione, ansia, carenza di energia relativa, overreaching non funzionale ed overtraining. Infatti, si conosce che se si utilizza una sola variabile per cercare una correlazione di causalità (come, per esempio, il carico di lavoro per gli infortuni da non contatto o l’IgA salivare per le malattie ecc.) si abbia solo un’associazione speculativa. Di conseguenza, proprio per ovviare a questa critica, si rende necessario un monitoraggio complessivo di 24-h che tenga conto di come ci si sveglia (esempio, HRv e umore), come ci si allena (fatica neuromuscolare), come ci si alimenta e come si dorma. Solo in questo modo si ha una visione completa dell’atleta e nelle ricerche scientifiche si è in grado di discriminare il parametro più efficace per ridurre le forme di sotto-prestazione sportiva.

Su questo tema l’autore ha sviluppato un libro: Teoria & Metodologia del Monitoraggio degli Atleti, EdizioniLIR (Gennaio, 2021) che spiega, in maniera approfondita, questo processo di azione.



BIBLIOGRAFIA

1. Gabbett TJ. The training-injury prevention paradox: Should athletes be training smarter and harder? Br J Sports Med. 2016;50(5):273–80.

2. Impellizzeri F, Woodcock S, Coutts AJ, Fanchini M, McCall A, Vigotsky A. Acute to random workload ratio is ‘as’ associated with injury as acute to actual chronic workload ratio: time to dismiss ACWR and its components.

3. Munsters CCBM, Kingma BRM, van den Broek J, Sloet van Oldruitenborgh-Oosterbaan MM. A prospective cohort study on the acute:chronic workload ratio in relation to injuries in high level eventing horses: A comprehensive 3-year study. Prev Vet Med. 2020 Jun 1;179:105010.

4. Impellizzeri FM, Wookcock S, McCall A, Ward P, Coutts A. The acute-chronic workload ratio-injury figure and its ‘sweet spot’ are flawed. 2019;

5. Zouhal H, Castillo D, Freyler K, Suarez-Arrones L, De Alba B, Röll M, et al. Player Monitoring in Professional Soccer: Spikes in Acute:Chronic Workload Are Dissociated From Injury Occurrence. Front Sport Act Living | www.frontiersin.org. 2020;1:75.