High-Intensity Interval Training


ALLENAMENTO AD ALTA INTENSITA’


interval training aerobico (AeIT), sprint interval training (SIT) e repeated sprint training (RST)

[per chi volesse vedere l'inserimento degli HIIT nei microcicli di sport di squadra ed individuali si segua questo link]

Gli allenamenti intervallati ad alta intensità (HIIT) sono praticabili in qualsiasi età (juniores (1)(2) e seniores), sport (fondo lento o veloce, di squadra, di combattimento o di forza/potenza) (3), con ogni mezzo (cicloergometro, remorgometro, tappeto motorizzato, bilanciere, ecc.) e momento della periodizzazione. Ciò che cambia è il fine e, di conseguenza, il protocollo per cui si implementa questa tipologia di esercitazione. Infatti, mentre ipoteticamente e speculativamente in uno sport di fondo serve per migliroare il sistema cardiorespiratorio, per un sollevatore di peso potrebbe essere utilizzato prevalentemente per ridurre la massa grassa e rientrare nella categoria inferiore. In particolare, gli obiettivi per cui si eseguono gli HIIT sono:

Ø Aumento della prestazione (es. capacità di ripetere gli sprint e di mantenere l’alta intensità nelle azioni, economia di corsa),

Ø Miglioramento delle condizioni metaboliche (es. massa grassa),

Ø Incremento del sistema cardiovascolare (es. VO2max).

Uno dei motivi per cui questi protocolli intermittenti sono così validi ed applicati è perché si riesce a mantenere un lavoro di alto livello qualitativo (intensità) e quantitativo (volume) sopra il massimo consumo di ossigeno che, solitamente, in una serie unica in atleti altamente allenati potrebbe essere tenuto per non più di 8-10 minuti (57). Invece, con l’HIIT si è in grado di raddoppiare tranquillamente questa esposizione. Bisogna però essere consapevoli che il tempo al VO2max non deve essere solo l’unico parametro che bisogna guardare per implementare gli intermittenti nella programmazione (4).

Gli allenamenti definiti “high-intensity interval training” (HIIT) raggruppano differenti protocolli di attività relativamente all’intensità, alla durata, al recupero e ad altre variabili. Essi, secondo Buchheit & Laursen, si possono distinguere in tre grandi categorie (5):

Ø Allenamento di sprint ripetuti massimali (RST) della durata di 3-7 secondi con recuperi inferiori al minuto;

Ø Allenamento di sprint intervallati massimali (SIT) della durata circa di 30 secondi con recuperi passivi o attivi di 2-5 minuti. È chiamato anche “speed endurance pruduction” (SEP) e “speed endurance maintenance” (SEM). La SEP permette di lavorare sulla qualità del movimento in quanto il recupero è quasi completo (>5 volte rispetto la durata del lavoro), la SEM, invece, permette di lavorare sulla resistenza specifica alle azioni intense, infatti il recupero è solo 1-3 volte la durata del lavoro (6). Nel SEM rientrano anche gli small-sided games.

Ø Allenamenti ad alta intensità aerobici (AeIT) con intervalli di lavoro lunghi (2-4 minuti). Si ritiene che abbiano una omeostasi tra produzione e smaltimento del lattato (7).

Con il termine AeIT ci si riferisce ad esercitazioni ad intensità >80% della frequenza cardiaca massima (FCmax) tale da permettere un lavoro tra la seconda soglia ventilatoria (VT2) e il massimo consumo di ossigeno (VO2max), mentre gli allenamenti di sprint ripetuti (RST, SIT) sono attività che necessitano velocità o potenze superiori al massimo consumo dell’ossigeno (v/pVO2max) (8)(9). Solitamente questi protocolli hanno una durata totale compresa tra 5 e 40 minuti circa.

Classificazione degli HIIT secondo Buchheit & Laursen, 2013.

Tschakert & Hofmann (2013) mostrano un altro approccio per denominare gli HIIT, in quanto non è raro che gli stessi protocolli abbiano due nomi differenti. Questi autori suddividono gli HIIT in due grandi categorie: quei protocolli che impiegano un recupero non completo e, quindi, portano ad una riduzione della prestazione, e quelli che hanno i recuperi lunghi per permettere un pieno recupero. Entrambe le categorie sono ulteriormente suddivise in “intensivo” ed “estensivo” (7).

Classificazione degli HIIT secondo Tschakert & Hofmann (2013)

Come leggere il protocollo intermittente

Un protocollo intermittente di 3 minuti di lavoro al 100% della vVO2max e 3 minuti di recupero attivo al 50% vVO2max si descrive come (4):

Ø Intensità. Intensità media del protocollo, ovvero (100+50)/2= 75% vVO2max

Ø Rapporto lavoro:recupero. Rapporto tra la durata del lavoro e del recupero, 3/3 = 1

Ø Durata e distanza. Durata e distanza percorse ad alta e bassa intensità


Adattamenti dell’high-intensity interval training

Fisiologici (centrali). Aumento della gittata cardiaca, del volume di eiezione (contrazione del ventricolo sinistro), del massimo consumo di ossigeno e del volume plasmatico insieme ad una riduzione della frequenza cardiaca a riposo e della pressione arteriosa, oltre che migliorare l’elasticità dei vasi sanguigni (8)(10)(11). Per avere come adattamento il potenziamento del sistema cardiovascolare si ritiene siano necessari protocolli di 3-4 minuti di lavoro al >92-95% vVO2max con <2 minuti di recupero passivo o 4-5 di recupero attivo al 50-60% vVO2max (5). In corridori di mezzofondo intervalli di 1-8 minuti al 90-100% vVO2max permettono aumenti nel VO2max (12).

Fisiologici (periferici). Aumento della concentrazione enzimatica ossidativa e glicolitica per lo smaltimento del lattato e per la produzione di ATP, capillarizzazione e incremento del contenuto e della funzione mitocondriale (8)(10). Inoltre, permettono di ridurre la massa grassa (13).

Prestazione. I protocolli intermittenti o di sprint ripetuti mostrano guadagni nel massimo consumo di ossigeno (VO2max), riducono il tempo nei TimeTrial e permettono una maggior economia di corsa (9).

Confronto con l’attività di lunga durata

Fisiologico (centrali e periferici). L’HIIT riduce maggiormente la pressione diastolica notturna e totale giornaliera, così come migliora di più l’elasticità dei condotti sanguigni rispetto al protocollo di lunga durata e moderata intensità (14)(11). Inoltre, il protocollo di endurance non ha una capacità maggiore nella riduzione della massa grassa (in valore assoluto) rispetto l’HIIT (15). L’allenamento di lunga durata permette di aumentare il contenuto mitocondriale, mentre quello intermittente e ad alta intensità aumenta maggiormente la funzione degli stessi, per cui, riguardo la stimolazione degli organelli, sono complementari (16).

Prestativi. I protocolli SIT a sprint sovramassimali permettoono di aumentare il VO2max di 3,6 mL kg-1 min-1, ma è identico statisticamente rispetto al protocollo di lunga durata. Però, questo effetto è ottenuto con meno volume (tempo) di allenamento e quindi, speculativamente, permette di investirne di più in altre attività (17)(18). Una recente review sistematica e metanalisi mostra che, unendo i vari studi, ci sia comunque un vantaggio minimo dell’HIIT di +1,2 mL kg-1 min-1 rispetto al fondo lento (19). Non ci sono ancora studi che sommano e confrontano altre variabili quali, ad esempio, l'economia di corsa tra le due tipologie di attività.


Confronto tra tipologie di HIIT

Tra un allenamento HIIT di breve durata ed uno di sprint ripetuti non ci sono differenze statistiche nel VO2max (20)(21)(9), mentre tra un protocollo AeIT (>4 min) e un SIT è stato rilevato un incremento maggiore del 2% nel primo intervento (9). In ogni caso vige il principio della specificità, ovvero che se si utilizzano gli sprint ripetuti e di breve durata si ipotizza ci sia un miglioramento nel record personale dello sprint (20)(22)(23), al contrario, un protocollo HIIT di lunga durata sembra che possa incrementare maggiormente il massimo consumo di ossigeno e ridurre il divario tra il primo e l’ultimo scatto in una batteria di prove consecutive (maggior resistenza allo sforzo) (23) Anche se, in una indagine, si è riscontrato che dopo 10 settimane di SSG (2-4 ripetizioni per 2,5-4 minuti) rispetto ad un 12-24 x 15:15 (105:115% VO2max) i risultati nel tempo medio e di picco dello sprint sono migliorati in maniera identica (+4%) (24).

HIIT 6x4 min:1 min vs 6x4 min:2 min vs 6x4 min:3 min, 95% VO2max. Gli autori Schoenmakers & Reed hanno confrontato lo stesso protocollo intermittente di sei ripetute da quattro minuti al 95% FCmax/VO2max con differenti recuperi tra esse (60, 120 o 180 secondi). I risultati mostrano che la velocità di corsa è maggiore nel gruppo con il recupero più alto (p<0,01) segno di una freschezza maggiore. Però, chi ha recuperato meno ha iniziato le ripetute con un VO2 maggiore, per cui si può consigliare per massimizzare l’esposizione alle alte intensità quando il tempo di lavoro è ridotto (25).

Cambiamenti prestativi nella prova a tempo di 40 km in ciclisti molto allenati dopo cinque differenti protocolli intermittenti (12x30 s, 175% Ppicco; 12x1 min 100% Ppicco; 12x2 min al 90% Ppicco; 8x4 min al 80% Ppicco, 4x8 min all’80% Ppicco. Tratta da (55)(56)

SIT 20x6s:48s vs 4x30s:240s (1:8 L:R), all-out. Non ci sono differenti risposte nei guadagni prestativi in una prova a tempo (+5,1% vs +6,2%) tra due differenti protocolli di sprint interval training a volume e recupero equalizzato (1:8) (26).

HIT 24x15s:15s vs 12x30s:30s vs 6x60s:60s, 100%:60% vVO2max. Tra queste tre soluzioni il protocollo 30:30 è quello che riduce in maniera minore la risposta dell’HRv post-esercizio, per cui è quello che stressa di meno il soggetto (27).

HIIT 30-40 rip, 15/15, 130% vVO2max vs 4-6 rip x 4 minuti:2 min L:R, 115% VO2max. il VO2max è aumentato maggiormente nel gruppo ad intervalli lunghi (+6%) rispetto a quello di sprint ripetuti (+3,6%) (28).

SIT 40:20 vs 30:30. Il protocollo 30:30permette di raggiungere una FC, VO2 e La- maggiori rispetto al 40:20, mentre quest’ultimo ottiene uno stress leggermente inferiore, ma consente di lavorare per più tempo (29).

Rappresentazione della durata totale ad esaurimento tra due attività intervallate (30:30 vs 40:20) a sinistra. A destra è rappresentato il confronto all’interno di un intervallo completo relativamente alla risposta in frequenza cardiaca (30:30 vs 40:20). Tratto da (29).

Variabili dell’allenamento intermittente

L’allenamento intermittente si deve prescrivere basandosi su molte variabili che sono tra di loro strettamente interconnesse: durata ed intensità dell’intervallo di lavoro così come del tempo di recupero tra le ripetute e tra le serie, numero delle ripetizioni, delle serie e modalità di esecuzione.

Intensità del lavoro. L’intensità può essere prescritta tramite:

I. Distanza da percorrere (es. sport di fondo)

II. Percezione della fatica con la scala BORG (1-100);

III. Frequenza cardiaca (%FCmax);

IV. Velocità o potenza al massimo consumo di ossigeno (v/pVO2max);

V. Velocità di riserva anaerobica (ASR);

VI. Velocità d’uscita di un test incrementale ad esaurimento o del 30-15 intermittent fitness test

In particolare, negli intermittenti di lunga durata (AeIT) l’intensità deve essere moderatamente alta (80% < x > 95% FCmax o l’80-90% v/pVO2max e/o la MLSS), invece negli intervalli di breve durata è ottimale che sia leggermente maggiore (90% < x > 115% v/pVO2max). Invece, negli sprint ripetuti essa deve essere aumentata, infatti nella RST è tra il 120-160/170% del v/pVO2max, mentre nei SIT è sopra il 160% v/pVO2max.

Si sa, però, che prescrivere l’intensità in riferimento ad una % di frequenza cardiaca massima (formula di Karvonen) sia un approccio erroneo e non standardizzato in quanto ogni soggetto ha il suo profilo individuale di FC-potenza, FC-VO2, ecc. e, quindi, ci sono adattamenti interindividuali differenti allo stesso protocollo (30). Questa situazione sussiste anche negli intermittenti inferiori ai 30 secondi di durata (7). Per ovviare a queste limitazioni sarebbe necessario prescrivere gli intermittenti tramite le soglie lattacide secondo questa formula (7):

Pmedia = (Ppicco x tpicco + Prec x trec)/(tpicco + trec)

Dove %PLT2 = Pmedia; %Pmax = Ppicco; %PLT1 = Prec

Intensità del recupero. Il recupero tra le ripetute può essere sia attivo (ATT) sia passivo (PAS). Nel primo caso si ha uno smaltimento maggiore del lattato accumulato con la diretta conseguenza di poter protrarre, qualora lo si volesse, l’attività per un tempo maggiore. Per questo scopo l’intensità dovrebbe aggirarsi intorno alla soglia lattacida e molto probabilmente gli atleti la utilizzano inconsapevolmente se lasciati liberi nella scelta del ritmo (per un approfondimento esaustivo si consiglia la lettura dell’articolo Clearance del Lattato dell’autore). Inoltre, il recupero in movimento permette di mantenere elevato il VO2 e, quindi, appena si riprende l’attività si impiega meno tempo per arrivare al VO2max e, quindi, si è in grado di accumulare più lavoro nella zona target rispetto che se si adottasse un recupero passivo. Ad esempio, il battito cardiaco in un 4x4 minuti al 95% FCmax scende rispettivamente a 140, 126 e 115 bpm se si hanno 1, 2 o 3 minuti di recupero PAS e, di conseguenza, il VO2 rimane elevato statisticamente nel gruppo a recupero inferiore (25).

Rappresentazione puramente speculativa della frequenza cardiaca in un intermittente con recupero attivo (linea nera) ed uno con recupero passivo (linea rossa). Da sapere che la frequenza cardiaca è correlata con il VO2, per cui nel gruppo a recupero passivo si ha una diminuzione dello stesso e, di conseguenza, l’esposizione totale al VO2max è ridotta.

Inoltre, il riposo tra le ripetute permette anche di modificare i guadagni prestativi e fisiologici. Infatti, si conosce che in triatleti dopo 15 sedute di HIIT in 14 giorni (microciclo shock) c’è un incremento nella velocità alla seconda soglia ventilatoria solo nel gruppo ATT, mentre il Wingate è aumentato solo nel gruppo PAS. il VO2max è, invece, rimasto invariato in entrambi (31). Invece, un’indagine ha ipotizzato che ci potesse essere una differenza in termini di adattamenti cronici se si fosse eseguito a fine seduta un recupero ATT di 15 minuti rispetto al PAS. Il post-test eseguito ad un mese di distanza mostra che il gruppo col recupero attivo ha aumentato maggiormente la velocità relativa a VT2 forse perché, ipotizzano gli autori, i 15 minuti di attività integrativa di defaticamento hanno permesso un ulteriore stimolo adattivo (32).

Durata dell’intervallo di lavoro. La durata dell’intervallo di lavoro varia in generale da 1 ad 8 minuti per gli HIIT di lunga durata (ed intensità relativamente ridotta), mentre è di 3-60 secondi per i protocolli di sprint ripetuti. Ovviamente questi dati sono molto ipotetici e devono essere contestualizzati nello sport e con l’intensità prescritta. Il modello di Thibault per l’equivalenza nella prescrizione degli HIIT secondo la percezione della fatica. Bisogna però tenere presente che nonostante siano simili dal punto di vista soggettivo, hanno sicuramente differenze negli stress e adattamenti fisiologici (61).

Durata dell’intervallo di recupero. L’intervallo di recupero varia in base ai protocolli e agli obiettivi, infatti nel caso della speed-endurance sarà ridotto (1-3 in rapporto al lavoro), mentre nel caso di allenamento della capacità di ripetere gli sprint sarà anche >4-5 volte il tempo di esercizio. Ad esempio, negli sprint ripetuti prescrivere <30 secondi tra le ripetizioni ha un effetto negativo sui successivi scatti, mentre 120 secondi o superiore non inducono adattamenti aerobici, per cui si consiglia la via di mezzo di 80 secondi utili per la potenza ed i guadagni cardiorespiratori (33). invece, in un HIIT di lunga durata (4x4 minuti, 90-95% FCmax) non ci sono differenze nell’accumulo di lattato se si utilizzano dagli 1 ai 4 minuti tra le serie (34), ma si consiglia comunque di tenere almeno 3 minuti per non permettere un affaticamento prematuro (35). In generale, più l’attività è lunga e il recupero minore e più si ha un contributo anaerobico all’esercizio. In uno studio di sprint ripetuti (10x6s sprint, 30s recupero) se si utilizzano 6 minuti di recupero passivo tra le serie si ha una differenza del decremento all’interno della stessa serie da 13 a 17% (59). Invece, se si eseguono due serie a distanza di circa 15 minuti di cui 5 di riposo completo, 6 di recupero attivo ed un piccolo re-riscaldamento non c’è una differenza nella prestazione tra le due serie di scatti (60). Per cui, si consiglia una distanza tra le serie di 15-20 minuti se si volesse mantenere la stessa prestazione. Prescrizione del recupero. Il recupero negli intermittenti può essere fisso a priori ed è quando si prescrivono lavori con i rapporti 1:1, 1:3 ecc., oppure può essere autoregolato dall’atleta ed è quando egli inizia la nuova ripetizione in base alle sue sensazioni soggettive. Oltre a questi due metodi c’è anche la possibilità di iniziare il protocollo quando si raggiunge una certa soglia di recupero della frequenza cardiaca. In questo modo il giocatore riprende l’attività quando ha ridotto, per esempio, del 35% la frequenza cardiaca massima. Quest’ultimo metodo (prescrizione in base al carico interno) non permette però di mantenere la stessa prestazione in un 5x1000m. Infatti, se confrontato con i recuperi fissi, il tempo era superiore di circa 5 secondi durante ogni ripetuta e l’inattività era di ben 45 secondi inferiore in media rispetto al gruppo a lavoro fisso (115 secondi vs 160) (36).

Modello di Thibault per l’equivalenza soggettiva dei protocolli intermittenti. I protocolli sono indicati con il puntino rosso sulla rispettiva linea. Le percentuali indicano l’intensità al massimo consumo di ossigeno (velocità/potenza). La zona inscritta tra la linea verde indica gli intervallati che hanno come risposta la massima gittata cardiaca, mentre la zona inscritta nella linea blu indica i protocolli al massimo consumo di ossigeno. Tratta da Thibault.

Numero di ripetizioni. Il numero di ripetizioni è da inserire nel contesto del microciclo (o sommazione dei microcicli), così come dalla quantità di fatica e/o dagli adattamenti che si vuole far ottenere. Generalmente in uno sport di squadra in pre-season, se si considerano gli HIIT di lunga durata, è ottimale un protocollo da 4/6 serie di 4 minuti in quanto permette di accumulare più di 8-10 minuti al massimo consumo di ossigeno (target minimo). Questo volume è drasticamente ridotto nella fase competitiva e potrebbe aggirarsi a 3 serie da 3 minuti o un 2x4 (qualora si utilizzasse l’AeIT). Invece, la quantità minima di sprint ripetuti è ancora da conoscere, ma si può ipotizzare di non effettuarne più di 6-8 nei giorni precedenti le competizioni (es. MD-2), e di poterne svolgere anche 15-30 in tre-cinque serie nei giorni di maggior carico (MD+3) e, in particolare, in precampionato.

Modalità di esecuzione. La modalità di esecuzione varia in base al contesto, agli sport e alla periodizzazione. Infatti, se si fosse durante l’off-season si potrebbe preferire un intermittente a scarico articolare (nuoto, cicloergometro) per chi ha un’attività a motricità di corsa. Invece, più ci si avvicina alla parte competitiva e più questi protocolli devono diventare specifici, per cui si effettueranno a piedi. Però, per mantenere gli adattamenti in atleti con sovraccarichi agli arti inferiori e/o nel caso particolare di un infortunio, si può preferire l’intermittente più agevole per il soggetto (es. cicloergometro).

Fatica indotta dai protocolli intermittenti

Si ritiene che i protocolli di sprint ripetuti massimali di >30 secondi siano affaticanti prevalentemente per la fatica centrale, mentre i protocolli ad intervalli lunghi, non massimali e/o di brevissima durata (<20 secondi) per la fatica periferica.

È difficile conoscere se un protocollo possa ridurre la qualità del gesto motorio (cinematica) in quanto tutto dipende dalla quantità di affaticamento che provoca e dalla tipologia dei soggetti (37).

Accumulo di lattato

Secondo l’autorevole opinione di Buchheit & Laursen, (2013) Il lattato accumulato nei primi cinque minuti dell’intermittente può indicare il contributo energetico del protocollo. Essi hanno ipotizzato questa suddivisione:

Ø Fortemente aerobico <3 mmol/L-5minuti,

Ø Aerobico circa 3 mmol/L-5minuti,

Ø Leggermente anaerobico 4 mmol/L-5minuti,

Ø Anaerobico 5 mmol/L-5minuti,

Ø Fortemente anaerobico >6 mmol/L-5minuti.

Protocolli di 3-4 minuti di intervalli al 90-95% vVO2max con <2 minuti di recupero passivo o >4-5 di recupero attivo al 50-60% vVO2max. raggiungono valori >5 mmol/L nei primi 5 minuti e a fine seduta sono superiori a >10 mmol/L (5). Se si prescrivono 4 minuti di recupero passivo lo smaltimento e produzione di La- è pressoché in equilibrio (34). Invece, in intervalli di circa 90 secondi alla vVO2max si hanno 5-7 mmol/L di La- nei primi 5 minuti (38). Per avere un’alta produzione di lattato negli sprint ripetuti sono richieste corse massimali di 4-10 secondi con un massimo di 20 secondi di recupero (39). Gli intermittenti sopra i 30 secondi di lavoro hanno un contributo aerobico maggiore rispetto a durate inferiori, ma se si volesse ridurre la componente ossidativa sarebbero necessari >1,5-2 minuti di recupero PAS per permettere di far ritornare ai livelli iniziali il sistema ossidativo. Ad esempio, la produzione di lattato aumenta da 13 mmol/L a 15 mmol/L se dopo 30 secondi di sprint si aumenta il recupero da 30 a 80 secondi (58). Inoltre, introdurre salti ed altri movimenti permette di modificare l’accumulo di La-. Un esempio è una ripetuta composta da 6 sprint in linea di 10metri e ad ogni arrivo è necessario effettuare 5 squat jump o burpees. Questo protocollo in meno di un minuto permette di effettuare 60 metri di sprint (6 accelerazione e 6 decelerazioni) e 25 movimenti speciali. Anche il terreno (sabbia, salita, discesa) e/o i cambi di direzione permettono di modificare la quantità di stress sistemico e locale negli intermittenti ed ognuno sarebbe da studiare a parte (40). L’accumulo di lattato è indice di fatica, ma alti valori di questa sostanza permette anche di stimolare la sua clearance, per questo motivo si consiglia un recupero attivo che permetta di eliminarlo più velocemente e quindi di effettuare più ripetizioni (vedere articolo Clearance del lattato).


Percezione dell’attività fisica

Si ritiene che se l’esercizio venga svolto sopra la soglia anaerobica (VT2) ci sia una sensazione maggiore di sgradevolezza rispetto che se fosse effettuato sotto questa soglia per una risposta a segnali enterocettivi (fatica muscolare, ventilazione e acido lattico). infatti, sotto VT2 c’è un fattore positivo di piacevolezze e l’adesione all’attività fisica è maggiore (41). Inoltre, sedute costanti di HIIT possono influenzare negativamente lo stato mentale dei soggetti rilevato tramite il questionario POMS (42) e speculativamente portare a lievi sintomi depressivi e di ansia che possono ridurre la prestazione. Però, la gradevolezza del protocollo è relativa ai soggetti e alla modalità dell’HIIT. Infatti, in giocatori di calcio si preferisce una tipologia di small-sided games piuttosto che un protocollo lineare a sprint ripetuti a parità di risposte fisiologiche (43). Il protocollo Tabata è quello che fa ottenere le risposte più fastidiose in quanto a percezione dell’attività fisica, ma è anche quello che permette di raggiungere il valore di VO2max maggiore tra tutti i protocolli (es. sprint ripetuti) (44).

Come per ogni altra variabile esistono variazioni circadiane. In particolare per i cronotipi notturni si sconsiglia di applicare HIIT alla mattina per il loro stress superiore rispetto che alla sera (45), mentre ai cronotipi mattinieri si sconsiglia di prescriverlo a fine giornata perché potrebbero ridurre la qualità del sonno (46)

Differenza di genere

Da uno studio molto recente si ipotizza che ci possano essere delle differenze di genere nelle risposte di adattamento ai protocolli di HIIT e, quindi, che sia necessario indagare approfonditamente quale tipologia sia più efficace per i maschi e le femmine (47). Nel seguente studio hanno confrontato due protocolli: 4x30’’:180’’ e 4x30’’:30’’, entrambi all-out e con recupero attivo. In particolare, nelle femmine c’è un’identica capacità di accumulo e smaltimento del lattato sia con il rapporto lavoro:recupero di 1:1 sia 1:6. Questa differenza, però, permette di speculare che le donne richiedano, specialmente nel condizionamento degli sport di squadra, intermittenti con recuperi minori rispetto ai maschi per avere lo stesso obiettivo (47).

Differenza nell’accumulo del lattato tra pre e post-test tra generi (maschi a sinistra, femmine a destra).

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