Adattamenti fisiologici all'alta quota e focus sulla prestazione e sulla pratica di monitoraggio dell'atleta
Adattamenti fisiologici all'alta quota e focus sulla prestazione e sulla pratica di monitoraggio dell'atleta
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Un periodo in alta quota, svolto tramite un training camp per massimizzare gli adattamenti in vista di un ritorno a livelli del mare o perché è l’ambiente di competizione come negli sport invernali, è un fattore confondente che bisogna conoscere per capire quali adattamenti porta alla fisiologia corporea, così da non interpretare in maniera sbagliata variazioni nei parametri che si monitora. La pratica di portare i propri giocatori in ritiro a quote superiori il livello del mare è diventata molto diffusa perché si ritiene che un adattamento cronico (3-4 settimane) all’alta quota possa garantire fino a un mese di miglioramento della prestazione negli sport di squadra rispetto a chi non esegue tale protocollo (219,221). Da un’intervista su atleti di endurance d’élite britannici e del loro staff l’altezza più usata è quella tra i 1500 e i 2500 metri per un periodo compreso tra i 21 e 28 giorni (222).
Definizione dell’alta quota
Di seguito viene rappresentata la definizione delle quote (livello del mare, bassa, moderata, media, e alta quota) con le varie pressioni parziali dell’ossigeno che servono per comprendere la saturazione dell’emoglobina (Hb). Più si sale di quota e più la pressione barometrica scende e con essa la pressione parziale dell’ossigeno (PaO2) e la saturazione dell’HB.
Rappresentazione schematica della saturazione dell’emoglobina a varie altitudini
Fisiologia applicata all’alta quota
La conseguenza principale dell’alta quota è la condizione di ipossia che è una carenza di ossigeno nel sangue arterioso, infatti nonostante la concentrazione nell’aria di questo elemento chimico sia invariata, esso è più difficile da legare nel sangue. Per ovviare a questo problema avvengono dei meccanismi principalmente nel sistema respiratorio e cardiovascolare, a partire da una frequenza respiratoria aumentata.
Sistema respiratorio (223)
Esposizione acuta. La condizione di ipossia aumenta istantaneamente la ventilazione al minuto per mantenere inalterato la quantità di ossigeno nel sangue, infatti, dato che a parità di aria inspirata l’ossigeno si lega più difficilmente al sangue arterioso, è necessario introdurre più aria per averne lo stesso quantitativo circolante. La frequenza respiratoria ad alta quota è maggiore nelle donne rispetto agli uomini. L’alcalosi indotta dall’iperventilazione è corretta dall’aumento di escrezione di bicarbonato nelle urine dopo 2-3 settimane (224).
Esposizione cronica. Con l’acclimatazione e un aumento dell’emoglobina che lega l’ossigeno si assiste ad una riduzione della ventilazione al minuto rispetto a quella assistita durante l’esposizione acuta, ma sempre maggiore rispetto a quella riscontrata a livello del mare.
Sistema cardiovascolare
Equazione di Flick
VO2 = Q x (a-v)O2
Q = gittata cardiaca; [(a-v)O2] = ossigenazione dei tessuti
Q = FC x volume di eiezione
Esposizione acuta (225). Per sopperire alla stessa richiesta (quantità) di ossigeno che si avrebbe a livello del mare si ha una frequenza cardiaca a riposo e submassimale aumentata, dovuta anche ad una riduzione del volume plasmatico (-25% nel primo periodo) (226,227). Il volume plasmatico ha una riduzione del 6% nel primo giorno di esposizione ad una quota di 2500m e per ogni 500m di elevazione seguente c’è un ulteriore riduzione di 1% nel volume con un plateau nelle donne al 5° giorno e nei maschi dopo il 7° indipendentemente dell’elevazione (228). Un altro motivo per cui aumenta la FC è perché si ha una attivazione maggiore del tono simpatico, che, in aggiunta, aumenta le resistenze vascolari e, di conseguenza, la pressione arteriosa (in particolare quella polmonare) (226). L’ipertensione polmonare svanisce al ritorno a bassa quota (229). Dall’equazione di Flick si nota come la gittata cardiaca rimanga stabile in quanto si ha un bilanciamento tra aumenti della FCsubmax e FCrip e una riduzione del volume di eiezione dalla diminuzione del volume plasmatico (precarico ridotto al cuore) (230,231). La FCmax è inizialmente diminuita per una ridotta stimolazione alle catecolamine. La differenza di ossigenazione nel circolo sanguigno si riduce con l’acclimatazione, fattore che permette di riprendere parte della prestazione di potenza aerobica ridotta nel primo periodo dell’ascesa (231). Le risposte cardiovascolari sono dipendenti dal genere e dall’età (228). Inoltre, un’esposizione acuta all’alta quota provoca una risposta esagerata nella produzione di lattato a parità di intensità (231,232).
Esposizione cornica. Con l’esposizione cronica all’ipossia si ha un incremento dell’emoglobina (Hb) (233) e si ritiene che aumenti linearmente dell’1,1% (in massa) per ogni 100 ore di esposizione (234) con il limite massimo teorico vicino al +7,7% indipendentemente dalla metodica di esposizione (235). La quota migliore per l’adattamento dell’emoglobina è tra i 2000-2500m che è quella in cui si raggiunge una saturazione di circa il 92% (236). Altitudini oltre i 2500m hanno solo un potere marginale nell’incremento dell’Hb, quindi non ha senso utilizzarle (237). L’aumento avviene in qualsiasi tipologia di atleta (sport di squadra o individuale) ed è maggiore in chi ha all’inizio del pernottamento ad alta quota una massa ridotta (228,238,239). Per permettere l’aumento dell’emoglobina è necessario che il soggetto non sia in una condizione di carenza di ferro (240). In aggiunta, l’esposizione cronica alla quota riduce la risposta esagerata nel lattato senza un concomitante aumento in proporzione del massimo consumo di ossigeno, per cui si parla di “paradosso del lattato all’alta quota” (231).
Sistema metabolico
Un periodo ad alta quota aumenta lo stress ossidativo ai tessuti (ROS), riduce le riserve di glicogeno intramuscolare (240) e nel lungo periodo provoca una maggior mobilitazione degli acidi grassi (240). Si può assistere ad una riduzione della massa magra dovuta a vari fattori tra cui: ipossia, sonno irregolare, freddo, squilibrio nutrizionale ecc., riduzione dell’idratazione (226).
Sistema immunitario
L’altitudine aumenta lo stress al sistema immunitario riducendone le difese, effetto causate anche da un aumento dello stress ossidativo (240).
Prestazione ad alta quota
L’ipossia acuta non permette di avere un allenamento alla stessa intensità come se fosse svolto a livello del mare, infatti si ha una riduzione del VO2max del 6-8% ogni 1000 metri di altitudine in soggetti con > 60 ml-kg-1-min-1 (241), quindi anche una quota di 550 m può portare a riduzioni della prestazione (242). Dato che l’ipossia non permette di raggiungere il VO2max che si ha a basse quote può avvenire un de-allenamento durante il soggiorno ad alta altitudini (240). Dall’equazione di Flick si nota come, una volta avvenuta l’acclimatazione, si ha un aumento dell’ossigenazione che permette di riprendere una parte del VO2 (231).
Calcolo dell’esposizione all’alta quota
Dato che esistono differenze individuali nella saturazione dell’ossigeno alle quote è stato applicato il calcolo del volume per ottenere lo stesso quantitativo di esposizione tra le persone tramite la seguente equazione (235,243).
% h = (98/s– 1) x h x 100
S = indice di saturazione dell’emoglobina [%]; h = ore di esposizione
Altrimenti, in maniera generica si ritiene che la quantità minima d’esposizione all’ipossia debba essere di 300-400 ore a 2000m per almeno 14-16 ore al giorno per 19-20 giorni (244-247).
Effetti negativi dell’alta quota
L’alta quota ha anche degli effetti negativi che sono:
Ø Immunosoppressione e quindi un possibile aumento degli episodi di malattia (in particolare del sistema gastrointestinale e del tratto superiore respiratorio [URS]).
Ø Aumento dello stress ossidativo ai tessuti per una riduzione della capacità antiossidante dalle moderate altitudini (>2320m) (248).
Ø Sintomi acuti da malessere della montagna. Se si attua una ascesa troppo veloce (mal di testa, vomito, nausea, fatica, debolezza, insonnia). Alcuni studi hanno provato a prevedere i sintomi acuti di montagna tramite vari parametri della frequenza cardiaca, qualcuno con risultati positivi (249), soprattutto con le variabili dell’HRv non lineari (250), mentre altri con risultati negativi (251). Anche una differenza >4% della FCsubmassimale ad una intensità prestabilita in atleti può essere un indicatore dei sintomi acuti di montagna nel giorno dopo (252).
Ø Insonnia e sonno non ristoratore (253).
Ø Overeaching non funzionale. Dato che è un periodo di allenamento (più o meno intenso a seconda della periodizzazione e programmazione) si può avere una maggior facilità di assistere a situazioni di sotto-prestazione e mal adattamento al carico (overreaching non funzionale ed overtraining) (254,255).
Fattori confondenti nella frequenza cardiaca
Come si è potuto osservare dagli adattamenti precedentemente esposti risiedere ad alte quote per un breve o lungo periodo porta ad avere delle modifiche alla frequenza cardiaca, tono simpatico, parasimpatico, frequenza respiratoria ecc. Questi sono fattori di rumore nel caso si utilizzasse la frequenza cardiaca come strumento di monitoraggio dell’atleta. Infatti, si assiste ad un aumento delle variabili simpatiche della variabilità cardiaca insieme ad una riduzione di quelle vagali (256,257). Oltre a ciò, è bene controllare la frequenza respiratoria nel caso si utilizzino le variabili dell’HRv che sono più dipendenti dagli atti respiratori (258).
Ø La frequenza cardiaca massima diminuisce (177 ± 1 bpm vs 187 vs 9 bpm) dopo un periodo di allenamento intenso ad alta quota (259).
Ø Quando si è in ascesa rapida si assiste ad una riduzione delle variabili vagali dopo la prima notta, mentre non è presenta alcuna iperattività del sistema simpatico (260).
Ø Le donne hanno una variabilità cardiaca parasimpatica minore degli uomini a parità di altitudine (251).
Ø Chi non è acclimatato all’ipossia riduce i valori dell’HRv parasimpatici o li mantiene stabili, o aumenta la dominanza del simpatico o una combinazione tra riduzione delle variabili vagali e aumento di quelle simpatiche (261), quindi bisogna sempre contestualizzare sull’individuo.
Di conseguenza, si può notare come la frequenza cardiaca riscontrata a livello del mare non possa essere utilizzata ad alta quota (262) e, una volta ritornati a basse quote, non si conosce entro quanto gli adattamenti di questi parametri ritornino nella normalità.
Applicazione pratica
Protocolli di allenamento. Per adesso il protocollo migliore per I ritiri in alta quota è quello di applicare un “LHTL” ovvero vivere in alta quota (condizione ipossica ipobarica) ed allenarsi a bassa quota in quanto si ha un incremento medio della prestazione di +4,0%. Infatti, se si applica un “LHTL” normobarico (ricreato a livello del mare), un “LHTH” o un “LLTH” si hanno aumenti minori nelle variabili prestative (+0,6%, +1,6% e +0,6 rispettivamente) (263). Il metodo LHTL permette di mantenere l’intensità dell’esercizio tramite gli allenamenti svolti a quote <1250m per cui si contrasta il de-allenamento. Non sembra avere risultati significativi il processo inverso, ovvero, vivere a bassa quota ed allenarsi in alta quota (LLTH) (226). Un fattore negativo del LHTL ipobarico giornaliero è quello che è possibile logisticamente solo in circa 6 posti in tutto il mondo, quindi bisognerebbe utilizzare apposite camere che simulano una condizione di alta quota riducendone gli adattamenti positivi, oppure eseguire un LHTH+L, ovvero vivere ad alta quota ed allenarsi ad alte e basse altitudini (sotto i 600m circa 2-3 volte a settimana così da rendere meno stressante e più economico in tempistiche la discesa e successiva risalita) (237). Si sta studiando anche la possibilità di effettuare un LHTL + “calore” ovvero vivere ad alte altitudini ed allenarsi in condizioni di calore a livello del mare ed aggiungere delle saune che permettano di contrastare l’adattamento negativo della riduzione del volume plasmatico dell’alta quota (255,264-266). Da notare che tutte le ricerche citate hanno applicato il P-value e non il metodo della statistica inferenziale nel contestualizzare le modifiche della prestazione (riferirsi al Volume 2 per una spiegazione esaustiva).
Ritorno a bassa quota. Per adesso non si ha la conoscenza di quando ritornare a bassa quota per sfruttare il beneficio dell’adattamento (237). Quello che si sa è che bisogna tenere conto di tre fattori: riduzione della risposta ematologica, acclimatazione ventilatoria e adattamenti neuromuscolari e biomeccanici (237). La massa dell’emoglobina è ridotta dell’1,5% dopo tre giorni dal ritorno dalla vetta ed è del 2,3% sopra il livello pre-quota dopo dieci giorni (267). La frequenza respiratoria rimane elevata, ma si riduce più velocemente del parametro sanguigno (268), mentre l’aspetto neuromuscolare è mantenuto se si svolgono sedute a livello del mare. Per cui, in caso di sport individuali dove bisogna avere un picco di prestazione in una giornata singola (o in un periodo ristretto) è bene che la competizione sia tra le 48 ore fino ai 14 giorni dal ritorno a bassa quota (246).
Abbastanza datato, Suslov, ha però trovato in pratica che con degli atleti di medie e lunghe distanze la prestazione è diminuita nei primi due giorni a livello del mare, aumentata tra il 3° e 7° giorno, ridotta dall’ottavo al decimo, e sempre ottimale dal 12° al 30° giorno, con il picco di competitività tra il 18° e il 20° (269).
Suslov
Periodizzazione. La salita dovrebbe essere di massimo 600-1200 metri ogni 24 ore, con step minori più la quota d’arrivo è alta (270). Si ritiene che per i primi sette giorni bisogna diminuire del 50% il volume se si applica il protocollo LHTH e ridurre al minimo gli esercizi alla massima intensità, che poi sono gradualmente introdotti quando si riscontra una prestazione simile a quella ottenuta a livello del mare (ovvero tra i 10 e i 14 giorni dopo) (271). Si consiglia, per chi possa permetterselo, di utilizzare l’alta quota più di una volta all’anno (2-3 blocchi da 2-6 settimane separate da 8 settimane a livello del mare) (272) specialmente per gli atleti di sport individuali di fondo in quanto hanno meno pressioni di competizioni. Anche gli sport di squadra possono beneficiare di training camp di 2-4 settimane svolte nella fase precompetitiva (247). È necessario che durante la parte finale dell’alta quota ci sia un taper per poter finalizzare i guadagni una volta a livello del mare. Un allenamento individualizzato con l’HRv (periodizzazione non lineare flessibile) può permettere una riduzione minore del tono parasimpatico durante l’alta quota (273), speculativamente aumentando la loro freschezza agli allenamenti successivi.
Regime alimentare. Aumentare la quantità di cibi con antiossidanti può permettere un guadagno maggiore di emoglobina con una riduzione del volume plasmatico minore rispetto al gruppo di controllo (274). Una integrazione di 50-200 mg di ferro serve per aiutare l’incremento di eritropoietina durante l’esposizione ad alta quota (275), insieme al mantenimento di una dieta equilibrata che comprenda il fabbisogno energetico per l’omeostasi corporea e le attività fisiche. Lo stress ossidativo persiste anche due settimane dopo il ritorno a bassa quota da un LHTL (276), ma non c’è per adesso una posizione generale per consigliare un utilizzo di antiossidanti come integrazione per ridurlo perché potrebbe attenuare gli adattamenti degli allenamenti (275).
Training camp. Per monitorare i camp in altitudine è necessario introdurre strumenti come il misuratore di saturazione dell’ossigeno e rilevare il dispendio calorico, metabolismo basale, massa magra e massa grassa (277). Infatti, in un ritiro ad alte quota di 12 giorni con atleti d’élite di canoa a 1800m c’è stato una riduzione del metabolismo basale a riposo (-5,2%) con una riduzione della massa corporea di 1,2% in concomitanza con una sensazione di perdita di appetito potenzialmente indotta dalla situazione di ipossia. È però una variazione molto vicino all’errore di misura dell’attrezzo, quindi è possibile che non sia un cambiamento significativo (278). Il monitoraggio dell’acqua totale può servire come marker per conoscere l’acclimatazione degli atleti durante i training camp ad alta quota in quanto si assiste a variazioni di 1,7-2,1 litri totali sopra i 1000m, ma anche ad aumenti di 5-6 L. Il picco di ritenzione durante il periodo di acclimatazione è tra il 4-6 giorno e il 10-12° (279). Come sempre bisogna individualizzare le risposte e contestualizzarle sui soggetti, in quanto a 2320m non si è riscontrato una differenza nella frequenza cardiaca a riposo (0 ± 4 bpm) qualità e quantità del sonno in ciclisti e nuotatori professionisti internazionali (277).